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Altro modo non c’è

E può capitare di uscire dal laboratorio, e di vedere una sfilza di aironi che ti passano davanti come una processione, con il sole che tramonta rosso come un pallone da basket, proprio sopra la zona industriale di Faenza, con un fila di cavi dell’alta tensione che fanno a gara con una strisciata di nuvole a chi arriva primo all’orizzonte.

Può capitare benissimo.

E mentre guardi tutto questo, e l’asfalto rovinato che scricchiola sotto
i tuoi piedi, ridotto quasi a ghiaino, come se all’improvviso fossi stato catapultato da qualche parte a Città del Messico o nella periferia di Buenos Aires, ecco, mentre guardi queste cose, ti viene da pensare
che tutte le rughe, tutti i calli, tutte le occhiaie che uno si ritrova addosso, non sono poi un prezzo così alto da pagare, per restare aggrappati così ferocemente ai propri sogni.

Costruire cose per raccontare quello che siamo.

Costruirle come un artigiano che progetta un tavolo che non traballi
o una sedia che non si spacchi sul più bello.

Ritrovo in Oscar la stessa passione militante dello scrittore che più
mi ha toccato in anni e anni di letture, Eduardo Galeano.

La speranza e il sogno come utile lavoro artigianale.

Che è molto di più della foto del Che sopra al banco di lavoro.

E’ qualcosa che ti da abbastanza forza da piegare e plasmare il ferro
a tuo piacimento, in lunghi a massicci steli di fertili germogli, che cercano di fecondare la terra, tali e quali agli spermatozoi.

E’ qualcosa che ti fa vedere in una vecchia cisterna arrugginita lo scrigno gigantesco di un tesoro, che io immagino pieno di miliardi di cose rubate ai più deboli, di anni e anni di silenziosi abusi che il tempo ha trasformato in semplice dignità, con la sola forza della pressione, come pare succeda al carbone che diventa diamante.

La passione militante che plasma la materia e con un gioco di prestigio la trasforma in sogno: ma non di quelli da subire ad occhi chiusi nel letto, da soli.

La trasforma in legno e terra, in cinque metri quadrati da appendere
a un muro abbastanza forte da reggerli.

Io conosco poco della scultura.

Una volta sono andato a Vienna a vedere un museo, e c’era un lavoro
di Picasso. Una ragazza seduta che secondo me si stava tagliando le unghie. E non ho resistito a toccarla.

Pensavo semplicemente che sarebbe stato come accarezzare le dita
di Picasso, che anni prima avevano modellato quel materiale.

Una specie di stretta di mano per interposta persona.

Apriti cielo.

Hanno iniziato a squillare quarantamila allarmi e in men che non
si dica sono volato fuori dal portone.

Non vado più nei musei.

E’ come andare nei cimiteri, e se ti avvicini troppo, ti trattano
come se stessi calpestando una tomba.

Ma i lavori di Oscar non finiranno in un museo.

Occuperanno gli spazi di un paese che vive, e spero che i bambini possano avvicinarsi e appoggiare i palmi delle loro mani su quei ferri,
e capiscano anche per un solo attimo quanta fatica c’è voluta per forgiarli e piegarli.

Mi piacerebbero che capissero quanto sia difficile vivere di questa vita.

E non parlo dei soldi. Non solo.

Trovare una voce che riesca ad arrivare a tutti, intendo.

E’ come cercare il legame fra meccanico e organico.

Come trovare il risultato di una equazione con infinite incognite.

Come cucire le cicatrici del proprio cuore con l’elettrodo della saldatrice.

E’ impossibile riuscirci seguendo la ragione.

Lo so perché ci sono passato.

Ma ci si riesce.

E’ come un atto di fede.

Bisogna tornare bambini e credere ai maghi che si esibiscono
nelle sagre di paese.

Bisogna sudare in laboratorio ogni ora di ogni giorno e guardare le cose con gli occhi invisibili che abbiamo dietro la nuca.

E’ come costruire una solida casa, con la sola differenza
che le fondamenta sono sospese a due metri da terra.

E’ questo che fa Oscar, e tutti quelli che come lui sanno di dover inventare un nuovo alfabeto per spiegare cosa ci è successo,
cosa ci sta succedendo, e cosa ci succederà.

Inventare una strada per quel dito, per quella lama affilata che riuscirà all’improvviso a trovare il nascondiglio del nostro cuore, il posto segreto dove teniamo rinchiusa la parte più luminosa e magica di noi.

E a quel punto sarà come guardare un volo di aironi sopra i capannoni della zona industriale.

Non ci sono guide turistiche o manuali specializzati che insegnino
come fare.

Oscar cerca la sua strada sudando, e mettendoci ogni ruga
e ogni callo della sua vita.

Noi siamo più fortunati.

Basta andare e guardare.

E credere.

Altro modo non c’è.

 

 

Cristiano Cavina

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